Lazio: Chi guadagna dalla mancanza di trasparenza nell’intramoenia?

intramoeniaQualcuno di voi si è mai chiesto come mai sia in pratica impossibile prenotare un’ecografia, una radiografica, una visita cardiologica, pediatrico o ginecologica telefonando al Recup? Utilizzando il servizio di prenotazione mediante agende pubbliche, tranne casi miracolosi, per il cittadino è di fatto impossibile ottenere una prestazione ambulatoriale erogata dal Servizio Sanitario Nazionale nel proprio territorio di residenza. Molto più facile, anzi, assolutamente immediato ottenere la stessa prestazione a pagamento. Perché? Sono forse pochi i medici specialisti che le erogano? Forse il numero di prestazioni ambulatoriali erogate per pazienti esterni è talmente alto da saturare tutte le possibilità di prenotazione? Niente di tutto questo. Gli attivisti del Movimento 5 Stelle hanno scoperto il perché. Mediante una richiesta d’accesso agli atti presentata all’Asl Roma H, per la quale abbiamo sollecitato l’intervento di una Senatrice del Movimento (Elena Fattori), siamo venuti in possesso di un Internal Audit sull’attività libero professionale intramuraria esercitata dai medici del nostro territorio nell’anno 2011. Per prima cosa è doveroso rendere merito alla Direzione Generale della Roma H, di aver liberamente voluto avviare nel 2011 un processo d’auditing interno finalizzato a fare chiarezza sull’attività libero professionale intramuraria esercitata dai medici. Un atto volontario d’autoregolamentazione aziendale. Detto questo però, secondo quanto rilevato nell’Audit, questa attività anziché essere un servizio aggiuntivo per l’utenza, atto a promuovere la libera scelta, ma soprattutto a ridurre i tempi d’attesa, è apparsa piuttosto essere un sistema ingegnoso e ben architettato finalizzato essenzialmente a favorire l’attività privata a pagamento dei medici a discapito del servizio pubblico. In che modo? L’Asl Roma H, almeno fino al 2011, non si è per niente occupata di contrastare l’esercizio di un palese conflitto d’interessi dei medici, contravvenendo a regolamenti e leggi regionali e penalizzando pesantemente l’utenza e la domanda sanitaria. Abbiamo scoperto, esaminando i dati presenti nel documento, che ogni anno il servizio sanitario pubblico riduceva l’offerta, nell’ambito delle prestazioni maggiormente richieste dall’utenza, di almeno 60.000 prestazioni rispetto a quelle che avrebbe potuto effettivamente erogare in base al numero dei medici disponibili. Chi se ne avvantaggiava? Semplice: quei medici che le erogavano privatamente e a pagamento mediante dirottamento della domanda (per assenza oggettiva d’offerta pubblica tramite chiusura d’agende o calibrate su misura di singolo medico) verso gli studi privati presso di cui svolgevano l’attività. Come si rileva dai dati statistici dell’Audit e dalla descrizione della procedura organizzativa d’elaborazione delle agende, questi medici quando erano autorizzati all’esercizio dell’intramoenia riducevano l’attività istituzionale proprio nell’ambito di quelle prestazioni che poi loro offrivano a pagamento. In pratica il peso delle prestazioni istituzionali (ma solo quelle in comune a quelle erogate privatamente) diminuiva se uno o più medici esercitavano anche l’attività libero-professionale. Dall’Audit risulta, inoltre, che alcuni medici hanno guadagnato oltre 200.000 euro l’anno (cui vanno ad aggiungersi altri 120.000 euro circa di stipendio base istituzionale) solo con lo svolgimento di questa attività aggiuntiva. Proprio quei medici che avrebbero dovuto e potuto svolgerle gratuitamente presso gli ospedali e ambulatori pubblici. Il regolamento e le norme regionali del resto sono chiari: impongono che non possono essere erogati volumi in attività intramuraria superiori a quelli erogati in sede istituzionale. Però, mentre privatamente erano erogate a pagamento migliaia di prestazioni, nell’Asl Roma H interi reparti ospedalieri con intere equipe di medici specialisti erogavano in importanti discipline un numero di prestazioni inferiori o poco superiori a quelle erogate in regime d’intramoenia. In pratica c’erano casi in cui un ristretto numero di medici era capace di erogare privatamente più prestazioni di quante non fosse in grado di erogarne un intero ospedale! Miracoli della produttività. Stranamente i medici diventavano iper produttivi soltanto, quando svolgevano attività privata! Sempre riportando i dati dell’Audit, c’erano medici che risultavano lavorare 28 ore a settimana (cui dovremmo sommare le altre 38 ore istituzionali), in altre parole lavoravano 13,2 ore al giorno esclusi sabato e domenica e senza festività, e che riuscivano ad erogare privatamente oltre 6 prestazioni orarie, prestazioni che, però potevano ridursi ad un’oraria soltanto in ambito ospedaliero o ambulatoriale! In sede istituzionale invece le prestazioni per pazienti esterni scarseggiavano. Non solo, diventavano addirittura difficilmente controllabili dal sistema informatico interno e le erogazioni non erano collegate all’attività del singolo medico. Questa mancata assenza di controllo facilitava l’elusione anche dei controlli dell’attività privata. Un disordine ben orchestrato! Nel frattempo le agende in cui erano offerte le prestazioni pubbliche, erano chiuse illegalmente appena giunte a saturazione per essere poi riaperte in base a comodità del medico. L’utente telefonava al Recup e il posto non c’era e chi pianificava le agende? Erano gli stessi medici, sempre secondo l’Audit, che offrivano la loro esigua disponibilità, comunicandola al responsabile del sistema Recup e non era l’azienda a pianificarle in base al numero di medici specialisti dipendenti e a contratto e ai volumi di prestazione ottenibili e pianificabili in base a specifici tempari di categoria. Insomma, i medici c’erano, il loro potenziale produttivo pure, ma la possibilità di prenotare le loro prestazioni No. Intramuraria a parte. Possiamo infine rilevare, sempre dall’Audit, che:

  • L’attività libero professionale era svolta per ben oltre il 90% fuori dalle sedi istituzionali, quindi in forma cosiddetta “allargata” presso strutture private, facendo sì che un’eccezione diventasse, di fatto, una consuetudine, quindi contravvenendo smaccatamente il regolamento che prevede che l’attività intramoenia debba essere svolta ed essere prenotabile presso le strutture pubbliche;
  • Le prestazioni autorizzate ai medici non erano codificate con codici da nomenclatore utilizzati per le prestazioni istituzionali e pertanto non erano comparabili con le stesse al fine di verificarne i corretti equilibri;
  • Dei circa 10 milioni d’euro finanziati dalla Regione Lazio messi a disposizione della Roma H per attrezzature e immobili ne sono stati effettivamente utilizzati poco più di 3 milioni, mentre per la restante parte non era stata neanche bandita una gara;
  • Su dieci strutture ospedaliere soltanto una cioè l’ospedale di Marino, nel 2011 era pronta per essere dedicata all’attività intramuraria ma che era impiegata per altre cose, mentre i lavori presso altre strutture erano dirottati verso altri utilizzi o bloccati per contenziosi con le ditte per richieste d’aggiustamenti non preventivati dall’appalto iniziale;
  • Pur esistendo un preciso responsabile dell’attività, questo non era in grado di conoscere nel complesso né la situazione economica, finanziaria e patrimoniale e né i volumi espressi dall’attività stessa;
  • Il personale amministrativo di supporto all’attività svolgeva mansioni ridondanti che non ne giustificavano spesso l’utilizzo in termini ore assegnate;
  • I rilievi e le irregolarità ravvisati nei bollettari dei medici, gravi in parecchi casi, una volta pervenuti presso il responsabile aziendale erano riposti in giacenza in un “cassetto” e non ne scaturiva mai alcun provvedimento o revoca autorizzativa per alcun medico trasgressore;
  • Non esisteva un sistema di contabilità separata che sarebbe stato in grado di ravvisare la redditività dell’attività e soprattutto la situazione patrimoniale della stessa.

Insomma una situazione catastrofica che ha danneggiato pesantemente l’utenza.

Si spera che con la risoluzione del M5S atta a standardizzare per l’attività libero-professionale intramuraria la procedura d’Internal Auditing da applicarsi presso tutte le Asl Laziali con l’obiettivo di raggiungere un accordo normativo atto a garantire la chiarezza e la trasparenza delle procedure nel rispetto dell’intento originario dell’esercizio dell’attività. Che non è quello di far arricchire i medici alle spalle dell’utenza quanto piuttosto quello di garantire un servizio aggiuntivo alla domanda sanitaria.

Davide Barillari

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