Pomezia: Attentato a Sigfrido Ranucci. Una bomba distrugge le auto fuori casa

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Un’ennesima tragedia sfiorata scuote il mondo del giornalismo italiano: nella tarda serata di ieri, intorno alle ore 22.00 è esplosa una bomba piazzata sotto l’automobile del noto giornalista investigativo Sigfrido Ranucci, distruggendo la sua auto e quella di sua figlia. Fortunatamente non si registrano feriti, ma il gesto riaccende i timori per la sicurezza di chi fa informazione in ambienti ostili. L’esplosione è avvenuta a Campo Ascolano, una frazione del comune di Pomezia, alle porte di Roma. Le auto — quella di Ranucci e quella della figlia — erano parcheggiate una accanto all’altra davanti all’abitazione familiare. Entrambi i veicoli sono stati distrutti dalle fiamme, e l’onda d’urto ha danneggiato anche parte dell’abitazione adiacente. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Ranucci, la figlia era passata nei paraggi pochi minuti prima dell’esplosione: “avrebbero potuto ammazzarla”. Il giornalista ha stimato che sia stato usato almeno un chilo di esplosivo. I carabinieri, la Digos, i vigili del fuoco e la scientifica sono intervenuti prontamente per i rilievi investigativi. Le indagini sono affidate al nucleo investigativo di Frascati, che attende i risultati degli esperti esplosivisti e l’analisi dei residui, nonché l’estrazione di immagini da telecamere di sorveglianza nella zona. Sigfrido Ranucci è da molti anni un volto noto del giornalismo d’inchiesta. Conduce il programma Report su Rai 3 dal 2017, ereditando la struttura dalla fondatrice Milena Gabanelli. Nel corso della sua carriera ha affrontato temi delicati come traffico illecito di rifiuti, relazioni tra politica e mafia, uso di armi non convenzionali, dossieraggi e pressioni. La notizia ha suscitato un’ondata di solidarietà nel mondo politico, mediatico e civile. Diverse testate e organismi per la libertà di stampa hanno condannato l’atto come una gravissima intimidazione nei confronti del diritto di cronaca. Questo episodio non può essere visto come un caso isolato: è uno specchio di tensioni che attraversano il giornalismo investigativo in Italia, e suscita una riflessione urgente sulla sicurezza dei cronisti e sul valore della libertà di informazione in democrazia.

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