PRIMO MAGGIO DOCUMENTO DELLA COMMISSIONE EPISCOPALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO, LA GIUSTIZIA E LA PACE DIFFUSO DA DON SIMONE DI VITO DIRETTORE DELL’UFFICIO DIOCESANO

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Il direttore dell’Ufficio Diocesano per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace don Simone Di Vito ha diffuso il documento che l’omonima Commissione Episcopale ha predisposto quale Messaggio per la giornata del 1° maggio 2014 dal titolo “Nella precarietà, la speranza”.

Lo si riporta integralmente.

La giornata del primo maggio, quest’anno, capita nella vicinanza della Pasqua, appena celebrata. Si tinge perciò di speranza, questo nostro messaggio, già alla luce di quell’evento di grazia. Resta però una giornata di lotta, non contro, ma pro, tutti insieme, sempre necessaria, per la tragedia crescente di questa crisi.

È quel lottare per il lavoro, che ci ha indicato papa Francesco nella sua visita in autunno in Sardegna: Signore Gesù, a te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e  benedici tutti noi!

La Veglia che si celebra in tante diocesi e parrocchie assume perciò, oggi, un significato particolare. Si fa invocazione, ma anche impegno. Per tutti.

Nessuno, oggi, in questo momento, può tirarsi indietro. Nessuno può scaricare la croce sulle spalle dell’altro, ma come Cirenei della speranza, chiediamo a tutti, come Vescovi della pastorale sociale, una particolare empatia, davanti ai tantissimi drammi sociali. Empatia è allora il condividere, lo star vicino, nella capacità di aiutarci tra di noi, per dimenticare un po’ l’egoismo e sentire nel cuore il “Noi”, come popolo che vuole andare avanti. Sono sempre le parole di papa Francesco che ci danno il tono, il coraggio, la forza in questa delicata situazione storica che viviamo.

Verso il Convegno di Firenze 2015

Ci stiamo preparando come Chiesa italiana al grande Convegno di metà decennio a Firenze, attorno alla figura di Cristo che dà senso e significato al nuovo umanesimo. Ma ci rendiamo sempre più conto che senza lavoro nessun giovane e nessun padre di famiglia ha dignità né sicurezza. Senza il lavoro, non c’è umanesimo. È un costruire sulla sabbia la nostra civiltà. Perché non rispetta la persona. Vittime come siamo di un’economia che ci vuole rubare la speranza, per i sistemi ingiusti che crea, perché spesso il denaro governa invece di servire! È una sudditanza agli idoli. Quegli idoli che abbiamo rifiutato solennemente di servire nella notte santa della Veglia pasquale. Rifiutando satana e abbracciando invece Cristo, ci siamo impegnati a dire di no alla nuova idolatria del denaro che esclude e non include.

La riflessione acutissima della Evangelii gaudium  al numero 53 così descrive l’attuale situazione di aperta ingiustizia, diffusiva. Va ben oltre le tradizionali analisi di natura marxista, che spesso in passato venivano utilizzate. Infatti non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati”, ma rifiutati, “avanzi!”.

Crediamo che il rileggere queste pagine, così tremendamente attuali, nell’ambito di questa consueta giornata per il lavoroche il primo maggio sempre evoca con commozione nel nostro cuore di cristiani e cittadini, ci faccia molto bene. Ci sentiamo interpretati, capiti, aiutati da questo concretissimo Magistero papale. Lottiamo con più forza per il lavoro, imparando a conoscere i meccanismi di esclusione che vengono attuati, spesso con spietata durezza.

Gesù davanti alle  reti vuote

Che fare, allora, come comunità cristiana?Come reagire? Come sperimentare la Pasqua del Signore risorto in questo drammatico contesto? Alcune Commissioni Episcopali (per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace; per il laicato; per la famiglia e la vita)hanno scelto di riflettere su tutto questo, in uno specifico Convegno che si terrà a Salerno nei giorni 24-26 ottobre 2014, con un titolo di grande efficacia: Nella precarietà, la speranza!

Come icona biblica per questo cammino, desideriamo suggerire il brano di Lc 5,1-11.

È la pesca miracolosa. Un Gesù che incontra Pietro ed esperimenta il dramma delle reti vuote. Lo possiamo leggere così, suddividendolo in tre messaggi, per un’attualizzazione di grande speranza per tutti noi. È Gesù stesso che ci insegna  un metodo per come riempire quelle reti vuote: formazione, coraggio e solidarietà reciproca.

  1. Prima di tutto, Gesù ha uno sguardo ben attento alla situazione di quei fragili pescatori. Li vede affannati, intenti a lavare le reti, delusi nel cuore per una notte perduta e un lavoro inutile. Come per tanti ragazzi delle nostre parrocchie e dei nostri paesi. Reti vuote. Come le giornate perdute nella ricerca sfibrante e deludente di un’occupazione. Ma Gesù utilizza un metodo acuto, penetrante, coinvolgente. Non indica strade comode, risolutive, né, tanto meno, scorciatoie clientelari o sbrigative. Ma si siede sulla barca e dalla barca insegna alle folle. È un vero Maestro. Un autentico educatore. Promuove, non si sostituisce. Punta sulla qualità, sull’innovazione, sulla formazione. Su un apprendistato che introduca realmente nel mondo del lavoro, con dignità. E soprattutto con qualità! Poiché la crisi attuale (ce ne rendiamo conto ogni giorno di più) non è povertà di mezzi ma carenza di fini! Don Lorenzo Milani, sempre più prezioso e ascoltato, ce lo ricorda con il suo diuturno impegno nella scuola di Barbiana. Esigente, esemplare, durissima. Perché animata da un cuore che ama: I care! E perciò poteva chiedere tanto! Tutto ai suoi ragazzi.
  2. Poi Gesù sa che non basta formare. Bisogna lanciare il cuore nella lotta quotidiana. E li invita con decisione a lanciare le reti: Duc in altum! E richiede a loro, lui falegname, inesperto di lago, di pescare di giorno. Cioè in condizioni precarie. Come per tanti giovani, oggi. In quella precarietà che scoraggia e delude. Duc in altum! Cioè rischiare, investire. Intraprendere. Questo è il verbo che dovrebbe uscire dalle nostre comunità cristiane, dalle nostre parrocchie. Non tenere i denari alla posta o in banca. Ma investirli, guardare avanti, mettercela tutta, perché quei pochi soldi che oggi abbiamo non restino ammuffiti nella buca sottoterra della paura, ma diventino talenti preziosi,  investi con coraggio e lungimiranza. Per il bene comune. Per il futuro dei nostri giovani. Oggi chi è imprenditore e lo fa con dedizione e rispetto delle condizioni lavorative, merita tutto il nostro appoggio e sostegno. E questo vale in primo luogo per la politica e la finanza. Il Papa, anche qui, è tagliente: L’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività, riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi (EG n. 204).
  3. E quella barca, lanciata con cuore gonfio di fiducia (sulla tua parola getterò le reti!), vede compiersi il miracolo della fede. Si riempie di pesci, al punto che le reti quasi si rompono! Allora, ecco la terza fase, impreziosita di gioia condivisa. Fanno cenno all’altra barca, per chiedere collaborazione. Per creare cooperazione. Iniziative portate avanti insieme, mai da soli! È la solidale reciprocità, in un circuito di vera e concreta fraternità. Una fraternità che risana dall’egoismo del possesso, fonte a sua volta di tremenda paura. Mentre la solidarietà crea sempre serenità, perché sentiamo che non siamo mai soli, mai da soli. Quante iniziative imprenditoriali, purtroppo, franano quasi subito, perché sono speculative, non condivise, non portate avanti insieme. È necessario aiutare a riconoscere che l’unica via consiste nell’imparare a incontrarsi con gli altri con l’atteggiamento giusto, apprezzandoli e accettandoli come compagni di strada, senza resistenze interiori e  senza stancarsi mai di scegliere la fraternità (EG n. 91).

Certo, occorre tempo. Spesso tanto tempo. Ma il tempo è sempre superiore allo spazio, poiché dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che possedere spazi, privilegiando azioni che generano nuovi dinamismi nella società, coinvolgendo persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Saremo così in grado di costruire un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale(EG nn.223 e 192).

La Veglia per il lavoro sia dunque un’attesa occasione di riflessione e di intensa preghiera, perché ci rendiamo conto degli errori commessi, percorrendo strade di solidarietà, che non portino allo scarto ma all’incontro solidale con i giovani e i fragili.

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