Itri: ALLA RICERCA DELLE “PENNE” CHE INCANTANO!

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ITRI – “Sì rade volte, padre, se ne coglie per triunfare o cesare o
poeta…”. Abbiamo scomodato il sommo Vate, per prendere ispirazione dai
versi 28 e 29 del primo canto del Paradiso della sua Commedia, che fu
poi definita Divina, per introdurre un concetto che suscita in noi
profonda convinzione e crucciato rammarico.

Da testardi cultori delle
quotidiane note che il piombo delle tipografie affida alle pagine dei
giornali cartacei che restano a significare una delle ultime bandiere,
dure –almeno si spera!- a morire, del secolo che ci ha lasciato quasi
tre lustri fa, pur senza disconoscere la valenza del “nuovo che avanza”
e che tutti chiamano informazione sul web, abbiamo notato come la
casella degli “assenti” stia prendendo, come su un registro di classe di
un docente, giorno dopo giorno, una consistenza quantitativa e,
lasciatecelo dire, soprattutto qualitativa per il lungo elenco di nomi
che, vergando “pezzi” il cui contenuto poteva trovarci consenzienti o
fortemente in disaccordo, conciliavano la nostra voglia di dissetarci
alla fonte della deontologia dell’informazione, coniugata con la prosa
chiara e gratificante per chi non si appaga di sole proposizioni
tradotte nella desertificante “vulgata” telegrafica. Assenze che
ripropongono, in maniera sistematicamente crescente e penalizzante per
il lettore, la povertà del linguaggio formale, oltre che l’assenza dei
nessi primari, che fanno sentire esaustivo un servizio giornalistico
deputato a conquistarsi il suo meritato spazio sulle pagine di un
quotidiano, oltre che ad affascinare gradevolmente l’anelito di chi
sfoglia un organo di informazione alla ricerca anche della scorrevolezza
della forma che esalta la valenza contenutistica di quanto viene
trasmesso all’interlocutore passivo nella sua veste di fruitore, nonché
destinatario dei resoconti degli “acta diurna” e, perché no?,
soprattutto di quelli coniugati nel corso della dimensione notturna. E
tra i nomi dei grandi assenti ci riesce difficile a non cogliere, a
prima vista, quello di Giovanni Stravato, per delineare il profilo del
quale ci sembra superfluo stare qui a citare le coordinate
identificative, tanto nota e apprezzata risulta essere l’eco del suo
contributo all’informazione pontina e regionale, eco approdata, non
poche volte, anche su scala nazionale, passando sia dai canali
tradizionali della carta stampata che su quelli mediaticamente più
approccianti del messaggio video. Plagiati dal tormentone tenuto a
battesimo da Antonio Lubrano, “A questo punto, la domanda sorge
spontanea”, ci viene da chiedere inevitabilmente: “Ma che fine
–giornalisticamente palando- ha fatto il già condirettore di “Latina
Oggi”, organo di informazione riproposto, con la fulminea rapidità del
cambiamento di scena che l’autore dei “Promessi Sposi” compendiò,
nell’ode dedicata all’esule di Sant’Elena e che incipia “Ei fu”, con il
passaggio “cadde, risorse e giacque”, con il titolo “Oggi Latina”, prima
di approdare definitivamente a “Il Quotidiano di Latina”? Incontrandolo
casualmente , ci è sembrato oltremodo naturale chiedere a lui, al quale,
tanto per scomodare di nuovo il Manzoni, “/di mille voci al sònito mista
la sua non ha/: vergin /di/servo encomio e /di/codardo oltraggio, sorge
or commosso al sùbito sparir /di/tanto raggio”, nel senso che, pur nella
nostra civilissima contrapposizione, sempre sorretta dal sentimento
sincero dell’amicizia, mai c’è stato acquiescente ossequio interessato
all’encomio teso alla “captatio benevolentiae”, ci è sembrato naturale
chiedere –stavamo dicendo- il perché di questo “Aventino” che colloca
la sua voce nel Limbo di quanti dovrebbero occupare l’Empireo nel
Paradiso dove si incontra l’Altissimo. E, ancora una volta, senza
riuscire a stupire chi, come noi, conosce l’essenzialità esaustiva delle
risposte razionalmente intelligenti di Giovanni, peraltro autentico
“homo faber” nella creazione e valorizzazione di giovani talenti
all’esordio nella loro fucina dell’informazione, dote rara ad essere
coltivata da altri che ritengono questo impegno come Mazzarò considerava
“La roba” una cosa solo sua da portare con sé anche nella tomba, abbiamo
colto nel suo garbatissimo e affettuoso riscontro interlocutorio, un
messaggio “vago”, tipico di chi non ama amplificare, a mo’ di banditore
d’asta, le ragioni di un silenzio operativo che penalizza la buona
informazione e offende l’etimologia del termine “i migliori” allorchè
qualcuno lo usa a sproposito per indicare le qualità di chi è rimasto a
opacizzare la scena sul palco. Con una platea ogni giorno sempre più vuota!

di ORAZIO RUGGIERI


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