Le detenute della Casa Circondariale di Latina protagoniste alla Biennale

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Gruppo carcerate e staff solidarteTra le principali novità di questa terza edizione della Biennale di Arte Contemporanea Città di Latina “82 Artisti X 82 Anni” c’è la partecipazione di un gruppo di detenute della Casa Circondariale di Latina (che hanno deciso di chiamarsi Le donne di Via Aspromonte) con le 32 opere raccolte sotto il titolo “Frammenti di tempo”. Le opere sono il risultato finale di un corso di arte della durata di otto mesi, tenuto dalle artiste Giuliana Bocconcello (presidente di Solidarte e ideatrice della Biennale) e Gaetana De Longis, dall’art director Michele Catalano e dalla giornalista Serena Nogarotto. Il percorso artistico e la partecipazione del gruppo sono state al centro di due incontri in cartellone alla Biennale. Il primo si è tenuto giovedì 11 dicembre, all’interno dello spazio teatrale della Casa Circondariale di Latina. Un incontro informale, come voluto dallo staff di Solidarte, che ha seguito i lavori delle detenute e dagli educatori del carcere che con loro hanno collaborato. L’appuntamento si è aperto con un video, che ha accompagnato gli ospiti e le autrici delle opere in un viaggio virtuale, dal carcere di Via Aspromonte al museo “Giannini”, dove fino al prossimo 29 dicembre espone la Biennale. “Quello che stiamo celebrando oggi è un risultato importante – ha sottolineato Rodolfo Craia, responsabile Area Educativa della Casa Circondariale di Latina – sotto il profilo dell’espressione artistica prima di tutto, che si è manifestata sotto ogni sua eccezione: come partecipazione culturale ma anche come solidarietà e condivisione. Ogni passo è stato realizzato con la pazienza e la dedizione di chi crede nel valore delle relazioni interpersonali e nella solidarietà. E’ stato un percorso lungo, grazie al quale si sono abbattute le barriere materiali ma anche e soprattutto quelle del pregiudizio”. A descrivere le opere, il loro significato e il processo di realizzazione sono state le stesse detenute, che si sono confrontate con gli altri artisti che espongono in Biennale e con gli altri ospiti presenti: “queste opere non raccontano solo di sbarre e ferri ma anche di un desiderio di vita normale – hanno sottolineato le donne di via Aspromonte – attraverso questa forma abbiamo voluto esprimere qualcosa che verbalmente non saremo riuscite a esprimere. Ci siamo messe in discussione, esternando bisogni, necessità e sentimenti, facendo conoscere una realtà che all’esterno spesso arriva distorta”. Le autrici delle 32 opere sono detenute certo, ma prima di tutto sono donne, figlie, mamme e nonne in alcuni casi. Attraverso i loro lavori sono riuscite a creare un ponte tra la realtà chiusa e a volte sconosciuta del carcere e la vita all’esterno di esso. Passato, presente e futuro scandiscono le emozioni intrappolate nelle loro creazioni. E così attraverso la creatività, le Donne di Via Aspromonte esprimono paure, ricordi, desideri, solitudine, ma soprattutto amore con uno sguardo rivolto sempre agli affetti lontani. “Abbiamo viaggiato nella nostra quotidianità – spiegano le donne di Via Aspromonte – e il nostro viaggio ha portato alla luce sentimenti quotidiani, emozioni, ricordi, idee, racconti e anche il nostro mondo là fuori. C’è solitudine qui, ma riusciamo a specchiarci con i semi della vita nel cuore e, aiutate dall’amicizia condivisa pur nella poca luce, abbiamo immaginato una sosta di preghiera nell’orto degli ulivi, dove abbiamo “ascoltato” i fiori dei nostri cuori, colorati di libertà, ‘ amore e di speranza. Non pensavamo che si potesse dar voce al nostro vissuto interno materializzandolo in tanti piccoli frammenti di tempo, 32 piccole finestre colorate. Questo orto, qui dove siamo, lo abbiamo immaginato visto dall’alto, in viaggio con la mongolfiera, per vivere i ricordi delle nostre case, in un orto quotidiano fatto d’amore e di baci”. Al termine del dibattito ad ogni autrice è stata consegnata una medaglia, con il logo di Solidarte e quello della Biennale d’arte. Non sono mancati i momenti di commozione, come quello che ha accompagnato la descrizione di una delle opere che riporta al centro la foto di una bambina. “Si tratta della mia nipotina- spiega una delle detenute – che non vedo purtroppo da molto tempo e a cui ho voluto in questo modo dimostrare il mio amore”. Segue il testo critico di Silvia Sfrecola Romani, curatore della Biennale. I lavori realizzati dalle ragazze di Via Aspromonte sono come piccoli scrigni preziosi che, nello spazio di pochi centimetri, rivelano profondità inaspettate che invitano ad immergersi in un mondo parallelo invisibile agli occhi che non vogliono vedere, silenzioso alle orecchie che non vogliono sentire, impercettibile a chi fa dell’indifferenza la propria modalità di approccio alla vita. Reti, fotografie, lettere, segni, parole, scampoli di tessuto, assemblati su tavolette forse troppo piccole per contenere un groviglio di lunghissimi racconti da raccontare ma così perfette nel custodire quei piccoli luminosi frammenti di esistenze interrotte, sottratte a quella che qualcuno potrebbe definire la noiosa normalità. Ogni orto realizzato con tanta cura racconta un pezzo di vita in cui quello che succede “di là” s’incrocia con quello che succede “di qua” e diventa un’unica grande storia fatta di dentro/fuori, interno/esterno, buio/luce, notte/giorno, prima/dopo. L’orto, per definizione, è uno spazio chiuso, protetto, isolato, luogo di nascita, crescita, sviluppo e speranza. Scorrendo uno dopo l’altro i lavori delle ragazze, viene fuori un rovesciamento di prospettiva in cui ad essere protetto non è lo spazio dell’orto ma quello del “non-orto” ed il luogo della crescita non è dentro ma fuori. Questo bizzarro capovolgimento del senso comune diventa il punto di partenza delle opere di Via Aspromonte ed è solo condividendo questa prospettiva che è possibile mettere insieme quei frammenti ancora così delicatamente preziosi, ancora così energicamente splendenti di luce propria e guardare, stupiti, il mosaico d’umanità che compare davanti ai nostri occhi. Ed è solo condividendo questa prospettiva che diventa possibile prestare ascolto a quelle voci che parlano di solitudine, assenza, nostalgia, del valore delle piccole cose, della bellezza del sole, di specchi, ulivi, sogni, illusioni e desideri ma, su tutto, dell’amore per la vita, che resta sempre e in ogni caso infinitamente ed immensamente meravigliosa. Il secondo incontro si è tenuto presso il Museo “Giannini”, nello spazio dedicato alla Biennale. Sono intervenuti il presidente Giuliana Bocconcello, il critico Silvia Sfrecola Romani e Rodolfo Craia responsabile Area Educativa della Casa Circondariale di Latina. Quest’ultimo ha sottolineato alcune problematiche relative alla Casa Circondariale di Latina, la mancanza di fondi e la necessità di dare una nuova prospettiva culturale alle detenute. All’incontro sono intervenuti il sindaco di Latina Giovanni Di Giorgi che ha evidenziato il valore dell’iniziativa, le peculiarità di Solidarte e l’importanza del ruolo dell’istituto penitenziario per la città e il territorio; e l’Assessore Marilena Sovrani che ha consegnato le medaglie per le detenute che hanno partecipato. L’evento si è concluso con il desiderio di continuare la collaborazione tra l’Associazione Solidarte e le donne della Casa Circondariale di Latina. Un ringraziamento speciale va al direttore della Casa Circondariale di Latina, Nadia Fontana che ha reso possibile la realizzazione del progetto di Solidarte. Ha presentato l’incontro il giornalista Andrea Lucidi. Gli orari della mostra sono: 17 – 20 festivi inclusi | la domenica anche dalle 10 – 13 (la mattina solo per visita scuola | info 3387008304). Museo Giannini | Via Oberdan n. 13 Latina . Info: 3314226440 (la segreteria risponde agli orari della mostra). Per altre informazioni sull’evento: www.baclatina.it | www.latinasolidarte.itconferenza1

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